Caritas Antoniana: Dove vivi? Per strada

Non so se sia ancora così per i ragazzi e le ragazze di oggi, ma noi alla vostra età qualche timido pensiero di scappare da casa lo avevamo fatto. Perché naturalmente avevamo ragione noi e i nostri genitori non ci capivano, o anche solo perché l’erba del vicino a quest’età è sempre più verde della nostra. Perché sembrava una scelta estrema di protesta e libertà, l’unica che probabilmente pensavamo di essere in grado di esprimere, o almeno che immaginavamo avrebbe spezzato il cuore a mamma e papà, che si sarebbero precipitati affranti a cercarci. Anche le letture assidue delle mirabolanti avventure di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, ma bastava anche meno, che so?, Dagli Appennini alle Ande o Il Piccolo alpino, contribuivano ai nostri sogni ad occhi aperti. Già ci immaginavamo, con il nostro fagotto essenziale, magari pure legato ad un’estremità di un bastone, a spalle, un cappellino calcato sulla testa, e la strada davanti a noi. Potevamo permettercelo, tanto i più piccoli e fifoni tra di noi sarebbero rientrati al massimo per merenda, gli altri al di più al calare delle tenebre, quando, come recitava uno spot di scarpette per bimbi di quei anni, un autentico incitamento alla fuga, «se la sera ti fa un po’ di paura, trovi un amico che a casa ti accompagnerà».

Insomma, alla fin fine non ce la facciamo proprio a vivere senza una casa dove tornare, in cui sentirci al sicuro, dove ritrovare la nostra famiglia. «Dove abiti?» è, infatti, la domanda subito successiva a «Come ti chiami?», entrambe essenziali a definire chi mai siamo. È bello giocare per strada, passeggiare con gli amici e le amiche, scorazzare con la bicicletta, vivere avventure e scoperte, e forse combinare anche qualche guaio. E lo è ancora di più nella consapevolezza che abbiamo però una casa e una famiglia a cui apparteniamo, che ci vuol bene, con cui pure litighiamo. Magari in questi mesi di quarantena ci è stata un po’ stretta, ma almeno ne avevamo una. Nostra, appunto.

Non è così, purtroppo, per tutti i ragazzi e le ragazze. Prendiamo, per esempio, il Burkina Faso, uno stato africano, dove molti vostri coetanei vivono letteralmente per strada: per la povertà, perché abbandonati o orfani, per la violenza degli adulti. Tutto il santo giorno a difendersi, a cercare qualcosa da mangiare, a non morire neanche oggi, e di notte a provarci a fare sogni d’oro che non vengono più. A giocare neppure ci si pensa. E la scuola? La strada è ottima, per imparare a diventare duri, cinici, violenti. A perdere fiducia negli altri, a farsi furbi, a dimenticarsi cosa sia l’amicizia o l’affetto dei genitori. Col rischio di convincersi che non possa che essere solo così e per sempre.

Per questo, il nostro sant’Antonio ha “infranto” qualsiasi zona di qualsiasi colore per andare anche lui lungo le strade abitate da questi ragazzi e ragazze. Da bravo francescano sa che è lungo la strada che scorre la vita vera, dove le persone si incontrano, lì dove accadono le cose più interessanti e inaspettate. Ma la strada non deve essere per i più piccoli e indifesi una giungla né il ring di un violento incontro di pugilato: tutti devono avere la possibilità di realizzare se stessi e salvaguardando la propria dignità. Tutti hanno diritto di sapere dov’è la propria casa! Per questo sant’Antonio è andato ad aiutare i ragazzi di strada del Burkina Faso. E noi possiamo aiutare sant’Antonio…

Vieni a scoprire il progetto da vicino

 

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